Tra il 1877 e il 1878 vengono realizzate le prime abitazioni del villaggio operaio di Crespi d’Adda. Sono posizionate all’ingresso del paese e consistono in tre edifici di tre piani ciascuno. Chiamati in dialetto palasòcc (palazzotti), sono edifici rettangolari molto semplici e capienti fino a ospitare 12 famiglie di operai impiegati nella fabbrica di Crespi d’Adda.
L’architettura di Crespi d’Adda prende all’inizio che le case operaie presentino un genere di costruzioni detto “à caserme”. Esso viene poi messo in discussione all’Esposizione Internazionale di Londra del 1851 dove viene presentata la versione à pavillon, ovvero a casetta.
A tale proposito è interessante leggere ciò che scrive Silvio Crespi nel 1894, cinque anni dopo essere diventato direttore dello stabilimento, nella relazione “Dei mezzi di prevenire gli infortuni e garantire la vita e la salute degli operai nell’industria del cotone in Italia”.
“Era seguito da tutti, fino a pochi anni or sono, il sistema di fabbricare case grandi, a più piani, capaci di contenere 10 e fino a 20 famiglie: questo era un errore. Si facevano delle caserme, non delle case, in cui il pianto dei bambini, i pettegolezzi fra donne, i rumori d’ogni genere interrompono continuamente la quiete necessaria al riposo, e la vita vi si fa quasi in comune, e la troppa vicinanza delle famiglie ingenera malumori, che finiscono in diverbi od in risse. Non s’illuda l’industriale di creare una mano d’opera affezionata usando un tale sistema di costruzione: avrà sempre degli operai girovaghi, cupidi soltanto di un maggior guadagno. La casa operaia modello deve contenere una sola famiglia ed essere circondata da un piccolo orto, separata da ogni comunione con altri. Ricordiamo le città operaie inglesi, composte di lunghe file di abitazioni fronteggiate da un piccolo giardino, e aventi a tergo un piccolo orto. Il giardino è cintato e serve d’ingresso; la porta dà poi di solito in uno stretto corridoio, che di fianco si accede ad un salotto, di fronte alla cucina. Fra il salotto e la cucina è situata la scala ad una sola mandata, che mette alle due camere da letto del primo piano; la latrina è sul di dietro della casa e isolata; le case sono unite fra loro ai lati opposti; e così sono economiche, bastevoli per qualsiasi famiglia. Oldham, Bolton, Accrington, ecc., sono tutte città costruite in tal modo. Ricordiamo con maggior soddisfazione i quartieri operai di Mulhouse, in cui le case sono invece isolate e divise in quattro parti, unite dai due fianchi convergenti in uno stesso angolo. Servono così per quattro famiglie; sono più simpatiche, ma occupano maggior spazio e costano di più.
A Crespi d’Adda viene inaugurata un’architettura a misura d’uomo, che tiene presente delle reali necessità degli operai che abitano le proprie case. Nel 1886, Cristoforo Benigno Crespi e poi Silvio Crespi smettono di costruire edifici plurifamiliari in favore di un’edilizia che predilige villette uni e bifamiliari.
Alla fine del 1907 vengono costruite circa una cinquantina di abitazioni in tutto il villaggio operaio di Crespi d’Adda. Si tratta di edifici a pianta quadrata a due piani complessivi fuori terra. Pur sembrando tutte uguali, le case operaie di Crespi d’Adda hanno a volte un ingresso unico con una scala che porta al piano superiore e altre che hanno due ingressi indipendenti. Divisi in modo razionale, gli ambienti sono abbastanza alti e luminosi da far entrare luce e aria secondo le raccomandazioni del periodo nel campo della prevenzione sanitaria.
Le case vengono concesse in affitto alla famiglia in cui almeno un familiare lavori all’interno della fabbrica. Il canone è detratto dalla busta paga e non c’è possibilità di riscatto, mentre la manutenzione è a carico della ditta.
La prima Guerra Mondiale volge al termine. In Italia è tempo di ricostruire quello che è crollato e, sulla scorta di un entusiasmo rinnovato, edificare nuove strutture. Anche Crespi d’Adda non è da meno. Infatti la parte Sud del villaggio operaio si arricchisce di altre abitazioni. Questa volta, le case si presentano con una maggiore opulenza decorativa e in cantiere sono utilizzati materiali più preziosi e di varia tipologia.
Le quattro costruzioni diventano l’alloggio di due specifiche categorie impiegate nella fabbrica di Crespi d’Adda: gli impiegati e il caporeparto. Le case hanno pianta rettangolare e i terrazzi sono in ceppo dell’Adda. Presentano decorazioni nella parte alta delle facciate, finestre regolari ma di grandezze differenzi, tetti con linee più articolate e sormontati da comignoli che ricordano le fiabe dell’infanzia.
Oltre alle case operaie e alle villette per impiegati e capireparto, il villaggio operaio di Crespi d’Adda ospita anche alcuni villini riservati ai dirigenti. Poste in una zona boschiva e riparata, sorgono nella più completa privacy lontane dalla routine produttiva. Vengono costruite a partire dagli anni Venti e al termine dei valori si contano ben otto eleganti ville destinate ai dirigenti della fabbrica operaia di Crespi d’Adda.
A tale proposito è interessante leggere ciò che scrive Silvio Crespi nel 1894, cinque anni dopo essere diventato direttore dello stabilimento, nella relazione “Dei mezzi di prevenire gli infortuni e garantire la vita e la salute degli operai nell’industria del cotone in Italia”.
“Era seguito da tutti, fino a pochi anni or sono, il sistema di fabbricare case grandi, a più piani, capaci di contenere 10 e fino a 20 famiglie: questo era un errore. Si facevano delle caserme, non delle case, in cui il pianto dei bambini, i pettegolezzi fra donne, i rumori d’ogni genere interrompono continuamente la quiete necessaria al riposo, e la vita vi si fa quasi in comune, e la troppa vicinanza delle famiglie ingenera malumori, che finiscono in diverbi od in risse. Non s’illuda l’industriale di creare una mano d’opera affezionata usando un tale sistema di costruzione: avrà sempre degli operai girovaghi, cupidi soltanto di un maggior guadagno. La casa operaia modello deve contenere una sola famiglia ed essere circondata da un piccolo orto, separata da ogni comunione con altri. Ricordiamo le città operaie inglesi, composte di lunghe file di abitazioni fronteggiate da un piccolo giardino, e aventi a tergo un piccolo orto. Il giardino è cintato e serve d’ingresso; la porta dà poi di solito in uno stretto corridoio, che di fianco si accede ad un salotto, di fronte alla cucina. Fra il salotto e la cucina è situata la scala ad una sola mandata, che mette alle due camere da letto del primo piano; la latrina è sul di dietro della casa e isolata; le case sono unite fra loro ai lati opposti; e così sono economiche, bastevoli per qualsiasi famiglia. Oldham, Bolton, Accrington, ecc., sono tutte città costruite in tal modo. Ricordiamo con maggior soddisfazione i quartieri operai di Mulhouse, in cui le case sono invece isolate e divise in quattro parti, unite dai due fianchi convergenti in uno stesso angolo. Servono così per quattro famiglie; sono più simpatiche, ma occupano maggior spazio e costano di più.
A Crespi d’Adda viene inaugurata un’architettura a misura d’uomo, che tiene presente delle reali necessità degli operai che abitano le proprie case. Nel 1886, Cristoforo Benigno Crespi e poi Silvio Crespi smettono di costruire edifici plurifamiliari in favore di un’edilizia che predilige villette uni e bifamiliari.
Alla fine del 1907 vengono costruite circa una cinquantina di abitazioni in tutto il villaggio operaio di Crespi d’Adda. Si tratta di edifici a pianta quadrata a due piani complessivi fuori terra. Pur sembrando tutte uguali, le case operaie di Crespi d’Adda hanno a volte un ingresso unico con una scala che porta al piano superiore e altre che hanno due ingressi indipendenti. Divisi in modo razionale, gli ambienti sono abbastanza alti e luminosi da far entrare luce e aria secondo le raccomandazioni del periodo nel campo della prevenzione sanitaria.
Le case vengono concesse in affitto alla famiglia in cui almeno un familiare lavori all’interno della fabbrica. Il canone è detratto dalla busta paga e non c’è possibilità di riscatto, mentre la manutenzione è a carico della ditta.
La prima Guerra Mondiale volge al termine. In Italia è tempo di ricostruire quello che è crollato e, sulla scorta di un entusiasmo rinnovato, edificare nuove strutture. Anche Crespi d’Adda non è da meno. Infatti la parte Sud del villaggio operaio si arricchisce di altre abitazioni. Questa volta, le case si presentano con una maggiore opulenza decorativa e in cantiere sono utilizzati materiali più preziosi e di varia tipologia.
Le quattro costruzioni diventano l’alloggio di due specifiche categorie impiegate nella fabbrica di Crespi d’Adda: gli impiegati e il caporeparto. Le case hanno pianta rettangolare e i terrazzi sono in ceppo dell’Adda. Presentano decorazioni nella parte alta delle facciate, finestre regolari ma di grandezze differenzi, tetti con linee più articolate e sormontati da comignoli che ricordano le fiabe dell’infanzia.
Oltre alle case operaie e alle villette per impiegati e capireparto, il villaggio operaio di Crespi d’Adda ospita anche alcuni villini riservati ai dirigenti. Poste in una zona boschiva e riparata, sorgono nella più completa privacy lontane dalla routine produttiva. Vengono costruite a partire dagli anni Venti e al termine dei valori si contano ben otto eleganti ville destinate ai dirigenti della fabbrica operaia di Crespi d’Adda.